Guardo fuori dalla finestra, e non mi sento un recluso.
Siamo tutti qui, a riscoprire forzatamente il senso lento del tempo. Ma anche il senso lento del tempo non è imparziale. Non è equo. Il tempo da reclusi in una casa confortevole, magari con un giardino, un buon stipendio è una cosa, il tempo lento sospeso in uno spazio minuscolo per sé e pochi soldi, nemmeno sicuri, è un'altra. Così come il tempo sospeso del tempo è diverso per chi è solo, dannatamente solo e già fragile, prima e dopo qualunque virus. Per paradosso, sono quasi sereno nel pensare che una parte di società, noi, e per poco, debba sperimentare obbligatoriamente cosa sia il senso dell’imprigionamento. Spesso sento dire – “Quello s’è fatto solo 10 anni di galera”. Moltiplichiamo queste nostre ore così dilatate, così fatte di vuoti e silenzi e finestre dentro, per mesi, per un anno, per tre anni. Cinque. Dieci. Venti anni. Mi si dirà: ma noi non abbiamo commesso un reato grave e nemmeno un reato piccolo per il quale dover espiare. Certo, ma sperimentare e comprendere anche se per poco la pena prima di invocarla o infliggerla, è una possibilità che questo periodo ci può donare per comprenderne la vera entità. (Su questo tema, penso al meraviglioso “Film rosso”, di Kieslowski.) Guardo fuori dalla finestra, e penso che non è tanto la nostra libertà ad essere sospesa. È sospeso, oggi, ieri, da tanto, troppo tempo, il senso del Noi. Di popolo senza confini quale è l’unica possibile e pensabile vera famiglia: gli esseri umani. Quanto pesa, ora, questo macigno che portiamo nello sguardo, il virus del “Conta solo il profitto, la produzione”? Quanto pesa, ora, questo virus mentale che ha reso pensabile il pensiero che sia normale privatizzare - e considerare come merce e uno sperpero di soldi, il diritto più importante: il diritto a vivere in salute e a essere curati? Quanto pesa il - “Sono morti in tanti, ma quasi tutti anziani, e con malattie pregresse”? Quei “vecchi” che una società civile degna di questo nome, deve proteggere e curare ancor di più proprio perché più fragili. In quel “ma”, respira la malattia del nostro secolo, così virulenta da cambiarci geneticamente la visione. Così virulenta da averci chinato lo sguardo e ipnotizzato la voce, da averci fatto ri-votare coloro che sempre, da sempre e per sempre, invocavano, invocano e nuovamente invocheranno le ricette di un capitalismo feroce e cieco. Perché il virus dei virus è l’amnesia storica. Il non ricordare o il non essere nemmeno più interessati a ricordare. Con lo sguardo fuori, faccio mie le domande che vengono poste. Non sono un costituzionalista, ma un semplice lettore della Costituzione. Dentro vi trovo due principi bellissimi. La tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo, e la libertà personale di circolazione, di riunione, di espressione. E se i due diritti, forse, vanno costituzionalmente in contrasto, cosa fare? Credo che il primato debba pesare sulla vita delle persone. A patto che si rimanga vigili. Non credo vi sia una diminuzione dei nostri diritti – ora. Senza protezione della salute dei più fragili, non vi è possibile libertà. Anche l’obbligo di stare seduti e di non camminare nel corridoio durante il decollo e atterraggio degli aerei è una “limitazione” della libertà. Ma la accettiamo come “bene comune”. Il problema non è se sia giusta o meno questa limitazione. Ma se, una volta terminata l’emergenza, questo precedente verrà utilizzato da una disciplina che scienza non è: l’economia. E occorrerà essere vigili, per due ragioni. La prima: perché da sempre l’Economia, e parlo di quella liberista, si spaccia per Scienza. Assurge a titolo di pensiero ineluttabile. Fu così con la Grecia e fu così in tutta Europa dopo la crisi bancaria del 2008. Lì, in nome non della salute di tutti, ma della salute della finanza, i principi di solidarietà e giustizia sociale furono non compressi, proprio estinti. Guardo fuori dalla finestra, e temo che reclusi, lo saremo di nuovo quando usciremo. Reclusi dentro una visione malata che ci riproporrà banchieri come primi ministri e parole drogate come “PIL” come falso termometro del benessere. Ma c’è una cosa che invece mi colpisce. Non i diritti compressi. Per la prima volta in secoli, la Politica, certo con errori e probabilmente per poco tempo, ha anteposto il valore della salute a quello dell’economia. Non completamente, certo, come l’ascoltare le vergognose ed egoistiche pressioni anti-chiusura di Confindustria. Ma la Politica, suo malgrado, ha spostato brevemente l’asse. L’umano pesa. È qui, che dovremo essere vigili. E fermi. Perché sento tante dichiarazioni del tipo “Ne usciremo migliori” o “La pandemia ci sta insegnando molte cose.” Sarà il “Dopo coronavirus” una finestra per un cambiamento? No. Pensarlo in astratto è solo un “ottimismo New Age”. Non è un automatismo. L’umanità ha superato la peste, due guerre mondiali. Il senso di solidarietà iniziale, è stato poi gradualmente inghiottito dal sistema di una visione mercificata dell’uomo e nel paradigma uomo uguale merce, i diritti sono un impiccio. Ora, ma soprattutto dopo, a emergenza finita, l’economia che non è una scienza, cercherà di riprendersi il terreno che le è stato tolto. Cercherà di far pesare nuovamente poco, pochissimo, l’umano. L’idea che la crisi come un’epidemia o una crisi economica creino “naturalmente” un cambiamento in meglio è un’idea al limite della New Age. Un essere positivi sradicato da una visione storica. Nulla cambierà. Il sistema cercherà un traghettatore dalla faccia buona per gradualmente ripristinare la presunta normalità: dove il Mercato ride mentre noi sui balconi non canteremo più. Nulla cambierà. Sarà solo un trasferimento di detenzione. Da prigionieri dentro, a prigionieri fuori, nel mondo del Mercato. A meno che. A meno che non sfruttiamo questa “sospensione del tempo” per provare a provocare questa paralisi mentale così vitale per il potere. A meno che non proviamo a rendere pensabile l’idea del ridiventare -soggettività. Soggetti della Storia e non oggetti. E cosa significa ridiventare soggettività? Significa innanzitutto uscire dal proprio ombelico e collettivamente diventare udibili. La libertà’ di parola oggi non serve a nulla se non è dilagantemente ascoltabile. Agli Indiani d’America la parola non è negata. Semplicemente, nessuno la ascolta e nessuno può udirla. E forse, nessuno la cerca. Sarà cruciale da un lato essere vigili sui diritti, come lo si è col sistema immunitario. E soprattutto, dall’altro, come ha detto un filosofo che ho avuto il piacere di scoprire da poco, Roberto Mancini. “Ricucire la stoffa dell'umano”. Per iniziare a ricucire la stoffa dell’umano, occorre innanzitutto capire chi debba agire: dove sono gli artisti? Gli intellettuali? Gli operai? Gli studenti universitari e non? Tutti atomizzati alla ricerca di una sopravvivenza o affermazione individuale. Ricercare e costruire un vero senso di appartenenza. Lo dico a me in primis, ma anche ai miei colleghi artisti. Interroghiamoci, parliamo, non solo cantando dal balcone, ma interrogandoci, guardando negli occhi questa bestia quale è una visione dove le merci contano più dell’uomo. Dove accettiamo la regola della competizione e la regola del sacrificio del tempo, della vita. Interroghiamoci su come poter veramente contaminare questo mondo con un virus buono: il virus che ci ridona la visione del Noi. Non la voglio la “normalità di prima. La normalità predatoria. Cerchiamo l’anormalità. Guardo fuori dalla finestra, e non mi sento recluso. Quanto sarà lungo il giorno della normalità? Dai balconi, cantiamo una visione. L’essere umano non è ancora nato. Pubblicato su VIRUS E DIRITTI sulla pagina del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli
|
ALESSANDRO NEGRINI
Appunti, provocazioni, pinte e danze. Archives
June 2024
Alessandro Negrini
Regista per errore, poeta per caso, flaneur per scelta. |