Registi emergenti: Paradiso di Alessandro Negrini
intervista di Antonella Molinaro
CINEMIO.it
Oggi parliamo di un interessante documentario girato in Irlanda del Nord da un regista italiano: Paradiso di Alessandro Negrini che racconta la vita del Fountain, un quartiere rinchiuso dietro ad un muro a causa della continua lotta tra cattolici e protestanti.
Alessandro Negrini è un pluripremiato regista e poeta, nato a Torino. Definitosi un regista per errore ha trascorso la maggior parte degli ultimi anni ’90 viaggiando in Europa, e scrivendo. Nel 2001 si è trasferito in Irlanda del Nord dove, prima di diventare regista, ha lavorato come bidello, rappresentante dello sconosciuto Circo Tribertis, guida non riconosciuta in un museo e distributore a domicilio di Pagine Gialle.
Attualmente collabora come regista indipendente con la BBC e RTE . I suoi lavori più conosciuti sono una combinazione di documentari, fiction e poesia e parlano di esclusione sociale e senza tetto. Paradiso, il suo ultimo, pluripremiato documentario, è stato commissionato dalla BBC ed ha avuto riconoscimenti in tutto il mondo, selezionato in oltre 40 festival e vincendo 15 premi internazionali.
ParadisoNella città di Derry, in Irlanda del Nord c’è Fountain, un quartiere un tempo vitale che ospitava le più belle sale da ballo ed oggi ridotto ad un ghetto dietro un muro a seguito della guerra nordirlandese. Fountain ospita ormai poche anime, la maggior parte anziane ed è destinato a spegnersi lentamente.
Roy Arbuckle, musicista che un tempo suonava con la sua band, The Signetts, al The Mem, la sala da ballo protestante più popolare di tutta la città, ha raccolto in un cd le sue canzoni dedicate al suo quartiere e ha deciso di affrontare la paura lasciata dal conflitto con una sfida: una grande serata danzante al Memdove cattolici e protestanti potranno ballare nuovamente insieme.
Riuscirà prima di tutto a riunire il vecchio gruppo e ad organizzare la serata?
Può una favola essere raccontata in un documentario? Il regista Alessandro Negrini con il suo Paradiso ci è sicuramente riuscito. Nonostante sia tutto assolutamente vero, nato per di più da una chiacchierata, davanti ad una birra, del regista con il musicista Arbuckle, Paradiso ha davvero tutta l’aria di una fiaba a lieto fine dove i protagonisti non vogliono altro che rivivere il piacere di un tempo di ballare insieme che è stato rubato loro da un’inutile guerra idealista e fratricida.
Seguendo le fasi di preparazione della serata, una vera e propria sfida alla paura che aleggia intorno al muro del Fountain, Negrini ci rende partecipi della speranza in un sogno di questa gente che, nonostante l’età avanzata, desidera ancora divertirsi rivivendo il piacere di un tempo della compagnia e del ballo.
Un piccolo gioiellino che definire documentario è quasi riduttivo, almeno nel senso e nell’importanza che in Italia è data a questo genere così bistrattato. Prima di lasciare la parola al regista voglio assolutamente menzionare ‘Le bamboline del MEM‘, due simpaticissime anziane sorelle amanti del tango dalla cui arguzia, vitalità e voglia di divertirsi c’è davvero tanto da imparare.
Le domande al regista.
Ciao Alessandro, innanzitutto grazie per aver accettato di rispondere alle mie domande. Come sei arrivato all’idea di Paradiso?
Trovare il modo più semplice per raccontare una storia in immagini è sempre un mistero. Quando scoprii questo quartiere, il Fountain, decisi che volevo fare un ritratto cinematografico di queste persone che avevano scelto di vivere dietro a un muro. Ma non volevo fare un film che fosse sulla guerra nord-irlandese. Volevo trovare una chiave diversa.
A me piacciono i film che amoreggiano col linguaggio del sogno, quelli che raccontando una storia, seppur vera,assumono i connotati della fiaba e del sogno. In fondo il cinema è questo, è entrare in un mondo onirico che tuttavia dice la verità, e credo che il documentario come genere ne abbia le potenzialità all’origine.
E una sera, seduto al bancone di un pub a bere con Roy (il musicista protagonista del film), tra un sorso di Guinness e l’altro, emerse questa domanda: e se li facessimo ballare, tutti, questi cattolici e protestanti divisi da 40 anni? E se sfidassimo questa maledetta, fottuta paura?
E cosi nacque la struttura narrativa del film, il viaggio musicale ed il tentativo di organizzare una grande serata danzante. Devo confessare che mi piace l’idea che questa serata al centro del film sia nata tra la sobrietà e l’ubriacatura.
Quanto tempo sei stato fianco a fianco con Roy Arbuckle ed il suo gruppo The Signetts?
A me piace l’idea di poter fare film non “su” ma “con” qualcuno. Con Roy la frequentazione è stata costante. Abbiamo condiviso i sogni le speranze ed i timori che l’intera idea potesse fallire. Sino alla vigilia della serata danzante non sapevamo cosa sarebbe successo, se qualcuno sarebbe poi effettivamente venuto o no.
Così come abbiamo condiviso i problemi sorti durante la produzione: tutti i protagonisti, nonostante avessero tra i 70 e gli 85 anni, sono delle primedonne le cui personalità spesso si scontravano. Diciamo che alla base della coesistenza dei personaggi di Paradiso ci sono barili di birra.
Com’è andata la fase di preparazione del documentario?
All’inizio non fu facile trovare i soldi. La BBC ha avuto fiducia ed anche coraggio nel finanziare questo filmsu personaggi con un’età media tra i 70 e gli 85 anni e su un quartiere destinato a morire. La sceneggiatura fu sviluppata attraverso la collaborazione con il grandeDavid Wingate, che considero il mio mentore.
Dopodichè, lo sviluppo del film, così come la produzione, è stato basato su un principio fondamentale: il divertirsi seppur lavorando. L’elemento della ludicità, del gioco è stato fondamentale nel far si che dal film trasparisse il senso di totale spontaneità e freschezza su cui è basato il mio rapporto coi protagonisti.
Alessandro, com’è stato girare con i musicisti e con le ‘bamboline del MEM’? Ci sono degli aneddoti che ti va di raccontare?
Le due protagoniste femminili, le due sorelle del tango Kathleen e May, sono una fabbrica di contagiosa gioventù e allegria. Loro sono l’esatta trasposizione del piccolo fiore giallo che, nel film, riesce a fuoriuscire dal muro di plexiglass. Loro sono evase da quel carcere senza nemmeno saperlo. La paura dell’altro non le ha mai contagiate, nemmeno durante il conflitto. Il loro problema era guardare come ballava un uomo, non di che religione fosse.
Quando le incontrai capii che la loro passione per il tango poteva dare il tempo del film. In fondo il tango è un movimento tra due identità che si sfiorano senza toccarsi mai veramente, come quella cattolica e quella protestante in Irlanda del Nord.
Quando andammo a filmarle, per esempio nella scena in cui ballano in cucina, non ho mai chiesto loro di farlo: il segreto era di preparare il set, le luci e nel mentre farsi intrattenere da loro. E tra una parola e l’altra, io mettevo su un cd con un tango, e dopo 10 secondi loro non ce la facevano, si mettevano a ballare dimenticandosi completamente delle telecamere.
Una scena dovemmo rifarla tre volte perchè, ogni volta, Kathleen e May mi trascinavano davanti alla telecamera a ballare con loro. Devo dire che tra me e loro nacque immediatamente una complicità legata al reciproco amore per le sale da ballo. Io nelle sale da ballo ci sono cresciuto, mia mamma mi ci portava con se da bambino.
Lì dentro scoprii il fascino di un mondo purtroppo scomparso. Una reverie alla francese dove passavo il tempo ad osservare le donne che ballavano. Ancora adesso, a volte, mi addormento sperando di sognare quei passi, quei profumi, quelle atmosfere.
Il documentario è girato in Irlanda del Nord dove tu vivi da un pò. Com’è la situazione per i registi lì? Pensi che ci siano più opportunità rispetto all’Italia?
Rispetto all’Italia è senza dubbio migliore. In Italia lo spazio lasciato al film documentario è quello lasciato agli indiani in America, viene messo nelle riserve. Ci sono alcune isole di coraggiosa resistenza come l’evento annuale Documentary in Europe a Bardonecchia o Rai Doc di Rai tre.
Manca però proprio l’idea popolare del documentario come film vero e proprio, che non sia reportage giornalistico o film d’elite. Il cinema nasce come documentario, i fratelli Lumiere trasmisero la magia del cinema filmando la realtà. Ancora adesso, quando dico che faccio film documentari, alcuni amici o conoscenti pensano che io faccia film sui pesci tropicali o sui pinguini.
Una mia amica di recente, mi ha detto: “senti, ma quando lo fai un film vero?” Come un film vero? Paradossalmentecosa c’è di più vero di un film con personaggi veri?
“Paradiso” ha vinto molti premi nei festival a cui ha partecipato. Qual è stato invece il riscontro di pubblico che hai ottenuto?
La mia emozione piu bella è vedere come, nei luoghi dove viene proiettato Paradiso, dalla Germania agli Stati Uniti sino in India, questa piccola storia riesca a tradursi nelle altre culture e nelle altre vite cosi lontane dal quartiere del Fountain. Una signora, ad una presentazione a Wurzburg, in Germania, mi ha detto: “Ma dovremmo ballare di nuovo anche noi, qui!”
Siami divisi, non ci parliamo, tutti asserragliati in casa a guardare uno che alle otto di sera apre dei pacchi in televisione. Viviamo in società che generano disperate solitudini, tutte chinate sul proprio ombelico e tutte domate da mille paure. Credo che al pubblico piacciaParadiso perchè, in punta di piedi, ci suggerisce che si, forse è sempre possibile “riaprire le danze”. Evadere. Smettere d’essere domati dalla paura di tutto.
La peggior cosa che può capitare a chi vive in carcere, per quanto invisibile quel carcere sia, è dimenticarsi d’essere dietro a un muro. Convincersi che vivere dietro quel muro sia normale è il vero crimine, il vero Paradiso perduto.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Il mio progetto principale è godermi la vita, che è il progetto più a lungo termine che ho. Oltre a questo sto lavorando a due nuovi film, uno è un film documentario che sarà girato in Italia, e l’altro un film “vero” come direbbe la mia amica. E chissà, magari prima o poi faccio anche il film sui pesci tropicali.
Mi piacerebbe anche fare un film sul linguaggio e su come esso domini la nostra percezione delle cose. Leggevo qualche tempo fa di una direttiva Cee che stabilisce che il tuo corpo può assorbire lo 0,02 di benzene, che è un veleno. Decidono, linguisticamente, che il veleno è tollerabile: ma non vi può essere tolleranza o approssimazione su certi argomenti, il veleno non può essere un pò tollerabile.
E’ come se io ti chiedessi “sei incinta?”, e tu mi rispondessi: “un po’“. Dobbiamo riappropriarci del linguaggio, come si dice in Miracolo a Milano” di De Sica, “vivere in un paese dove un buongiorno significa buongiorno“. E, magari, riaprire qualche sala da ballo.
Ringrazio di cuore Alessandro per la sua disponibilità e consiglio vivamente i nostri lettori di cercare e vedere il suo piccolo gioiellino.