Cultura e spettacolo
Memorie da Docucity Di Valerio Moggia
http://www.diebrucke.it/memorie-da-docucity/

Venerdì 12 maggio si è svolta, a Sesto San Giovanni, la seconda edizione del concorso Docucity, festival del cinema documentaristico incentrato sul tema della città, organizzato dal polo di Mediazione culturale dell’Università Statale di Milano.
Avendo fatto parte della giuria popolare di questa edizione, ho avuto la possibilità di guardare film di buon livello e cimentarmi con una realtà – quella del documentario – che è sempre stata considerata ai margini del cinema (benché ne sia il fondamento: basti pensare ai film dei fratelli Lumière).
Proprio per questo motivo, penso sia giusto parlare del film vincitore, Paradiso di Alessandro Negrini, nella speranza di suscitare un po’ di curiosità nei lettori, sia nei confronti del film, che di tutto il genere del documentario, nonché del festival Docucity.
Prima di tutto, il regista. Alessandro Negrini, poeta torinese passato al cinema, ha viaggiato a lungo per l’Europa, stabilendosi definitivamente nell’Irlanda del Nord. I suoi film, sempre in viaggio verso il confine della poesia, trattano particolarmente il tema dell’emarginazione, dimostrando una forte attenzione per il sociale.
Paradiso, girato nel 2009 su commissione della Bbc, è ambientato nella città nordirlandese di Derry, teatro di fortissimi scontri ai tempi della sanguinosa guerra civile degli anni Settanta, a partire dalla bloody sunday del 30 gennaio 1972, quando i paracadutisti britannici aprirono il fuoco su un gruppo di pacifici manifestanti, uccidendo 14 persone.
Il quartiere centrale della città, il Fountain, a maggioranza protestante in una città fortemente cattolica, è attualmente separato dal resto di Derry da un muro, uno degli ultimi presenti in Europa, una delle peace lines che tutt’oggi sfregiano il volto dell’Ulster.
All’interno di questa situazione drammatica, il musicista Roy Arbuckle decide di ricostituire la sua vecchia band, ormai tutta composta da ultra settantenni, e tornare a suonare al Mem, celebre sala da ballo che era stata luogo di ritrovo dell’intera città, prima della guerra.
Sebbene il soggetto possa apparire di forte impatto emotivo, Negrini riesce a creare un film ironico e divertente, sdrammatizzando la vicenda come avrebbe fatto il Benigni dei tempi d’oro – con l’unica differenza: che qui non si tratta di fiction, ma di documentario.
I personaggi sono tutti indimenticabili, dai musicisti alle due simpatiche vecchiette, un tempo celeberrime e richiestissime ballerine al Mem, oggi ancora arzille e pronte a tornare al vecchio locale per assistere alla reunion dei Signetts.
Nonostante questo, il film non scade nella leggerezza, anzi è pervaso da un senso di impeccabile malinconia, di riflessione sulle tematiche sociali chiaramente evidenti, dalla meravigliosa frase pronunciata da Roy (“i vincitori scrivono la storia e i perdenti scrivono canzoni”) alla scena finale, in cui lo stesso Roy cammina accanto al muro di Derry, contando quanti passi misura la libertà.
La musica, l’arte diventano strumento d’unione, il concerto dei Signetts non richiama al Mem solo la componente protestante di Derry, ma anche quella cattolica. Invita loro a superare le proprie paure, nate dagli scontri della guerra civile, a forzare l’isolamento fisico e mentale nei quali li costringeva a rinchiudersi, per fare una delle cose più semplici del mondo: divertirsi.
Così la reunion del gruppo è metaforicamente la reunion dell’intera comunità, una sorta di viaggio nel tempo, all’indietro, quando ancora la città era unita, ma anche in avanti, a superare le assurde divisioni che gli uomini pongono tra di loro.
La musica che abbatte tutti i muri, con la mente che non può non correre ai Pink Floyd.
Paradiso, che prende il nome da un vecchio pub di Derry, un tempo luogo di ritrovo dei giovani della città (quelli che oggi fuggono via, lontano da quella realtà), cattolici e protestanti, sembra una favola, di quelle da raccontare la notte ai bambini, prima di addormentarsi, con la sua disarmante semplicità e la sua poetica malinconia. Eppure, è tutto vero.
Avendo fatto parte della giuria popolare di questa edizione, ho avuto la possibilità di guardare film di buon livello e cimentarmi con una realtà – quella del documentario – che è sempre stata considerata ai margini del cinema (benché ne sia il fondamento: basti pensare ai film dei fratelli Lumière).
Proprio per questo motivo, penso sia giusto parlare del film vincitore, Paradiso di Alessandro Negrini, nella speranza di suscitare un po’ di curiosità nei lettori, sia nei confronti del film, che di tutto il genere del documentario, nonché del festival Docucity.
Prima di tutto, il regista. Alessandro Negrini, poeta torinese passato al cinema, ha viaggiato a lungo per l’Europa, stabilendosi definitivamente nell’Irlanda del Nord. I suoi film, sempre in viaggio verso il confine della poesia, trattano particolarmente il tema dell’emarginazione, dimostrando una forte attenzione per il sociale.
Paradiso, girato nel 2009 su commissione della Bbc, è ambientato nella città nordirlandese di Derry, teatro di fortissimi scontri ai tempi della sanguinosa guerra civile degli anni Settanta, a partire dalla bloody sunday del 30 gennaio 1972, quando i paracadutisti britannici aprirono il fuoco su un gruppo di pacifici manifestanti, uccidendo 14 persone.
Il quartiere centrale della città, il Fountain, a maggioranza protestante in una città fortemente cattolica, è attualmente separato dal resto di Derry da un muro, uno degli ultimi presenti in Europa, una delle peace lines che tutt’oggi sfregiano il volto dell’Ulster.
All’interno di questa situazione drammatica, il musicista Roy Arbuckle decide di ricostituire la sua vecchia band, ormai tutta composta da ultra settantenni, e tornare a suonare al Mem, celebre sala da ballo che era stata luogo di ritrovo dell’intera città, prima della guerra.
Sebbene il soggetto possa apparire di forte impatto emotivo, Negrini riesce a creare un film ironico e divertente, sdrammatizzando la vicenda come avrebbe fatto il Benigni dei tempi d’oro – con l’unica differenza: che qui non si tratta di fiction, ma di documentario.
I personaggi sono tutti indimenticabili, dai musicisti alle due simpatiche vecchiette, un tempo celeberrime e richiestissime ballerine al Mem, oggi ancora arzille e pronte a tornare al vecchio locale per assistere alla reunion dei Signetts.
Nonostante questo, il film non scade nella leggerezza, anzi è pervaso da un senso di impeccabile malinconia, di riflessione sulle tematiche sociali chiaramente evidenti, dalla meravigliosa frase pronunciata da Roy (“i vincitori scrivono la storia e i perdenti scrivono canzoni”) alla scena finale, in cui lo stesso Roy cammina accanto al muro di Derry, contando quanti passi misura la libertà.
La musica, l’arte diventano strumento d’unione, il concerto dei Signetts non richiama al Mem solo la componente protestante di Derry, ma anche quella cattolica. Invita loro a superare le proprie paure, nate dagli scontri della guerra civile, a forzare l’isolamento fisico e mentale nei quali li costringeva a rinchiudersi, per fare una delle cose più semplici del mondo: divertirsi.
Così la reunion del gruppo è metaforicamente la reunion dell’intera comunità, una sorta di viaggio nel tempo, all’indietro, quando ancora la città era unita, ma anche in avanti, a superare le assurde divisioni che gli uomini pongono tra di loro.
La musica che abbatte tutti i muri, con la mente che non può non correre ai Pink Floyd.
Paradiso, che prende il nome da un vecchio pub di Derry, un tempo luogo di ritrovo dei giovani della città (quelli che oggi fuggono via, lontano da quella realtà), cattolici e protestanti, sembra una favola, di quelle da raccontare la notte ai bambini, prima di addormentarsi, con la sua disarmante semplicità e la sua poetica malinconia. Eppure, è tutto vero.