Ti chiamavi Satman Singh. Il tuo peccato mortale è stato non essere bianco, cristiano, ceto medio alto.Se un ragazzo italiano, chissà magari di un quartiere bene di Milano o Roma, fosse stato gettato dal suo datore di lavoro del camion con un braccio amputato per un incidente sul lavoro, come è successo a te, avremmo la notizia che apre i TG, i Talk Show, avremmo persino i fascisti in piazza.Ma tu sei nel mondo degli invisibili, che devono essere uccisi nel silenzio perché il grido che dovrebbe invece esistere disturberebbe la propaganda del "tutto va alla grande" dei manovratori.Chissà cosa sognavi. Chissà che voce avevi. Chissà da bambino a che gioco giocavi.
Le chiamano "'Politiche di risparmio aziendale": sponsorizzate da tutti i governi neoliberisti, in primis e ancora di più da Giorgia Meloni: aziende che con contratti stabiliti da chi legifera, subappaltano, ad altre aziende che subappaltano, riducendo salari e tagliando sugli standard di sicurezza.Si scrive "politiche di risparmio aziendale", si legge più di 2000 morti all'anno. Dobbiamo imporre a questi paladini della morte una paura nuova: quella della consapevolezza. Gli sguardi di chi, da oggi, vuole vivere senza essere vittima di "risparmio aziendale". Che non sia piagnisteo di due giorni, ma consapevolezza di un sistema basato su di una necro-ecomomia.Perché di queste morti esistono i mandanti. Mario Draghi, da Premier, promosse la legge per la quale per fare ispezioni sulla sicurezza nei luoghi di lavoro occorre comunicarlo una settimana prima. Fu votata da tutti - ivi inclusi Giorgia Meloni e Fratelli d'Italia: è la macelleria sociale ampliata da questo governo di matrice fascista e amico dei potenti che parla di Patria ma la spacca, parla di donne ma le umilia, parla di poveri ma li punisce.Di chi è questa Patria, Giorgia Meloni? Il lutto nazionale, anziché per un politico finanziatore della Mafia, va chiesto per loro, lavoratori morti solo perché lavoravano senza tutele, solo perché - merci senza volto. Ma dunque, come iniziare a ricostruire un minimo di senso di giustizia di fronte a quello che oggi ha un solo nome, fascio-liberismo?Riprendendoci le parole, in primis la parola "Politica". Che significa riprendersi la parola "politica"? Significa non essere soltanto lavoratori, impiegati, lavoratori indipendenti, artisti, professori, intellettuali, giornalisti: significa essere - cittadini, non pensare solo allo propria cerchia stretta, non essere ombelico, perché se si è ombelico. Perché se si è tutti solo ombelico si perde lo sguardo, le mani, quelle che una mattina scoprono essere state private di diritti, quelle che scoprono che nel gradino più basso di quella scala dei diritti negati c'è Staman Singh, ma poco sopra un vicino di casa, e poco più sopra un parente che non trova i soldi per potersi fare una risonanza privatamente, e poco sopra noi, tutti noi, non genericamente, ma politicamente mutati in silenziosa, disperata, disumanità.Ti chiamavi Staman Singh, il tuo peccato mortale è stato non essere bianco, cristiano, ceto medio alto. Questo è il tuo volto. Chissà cosa sognavi. Chissà che voce avevi. Chissà da bambino a che gioco giocavi. #MortisulLavoro #satmansingh di Alessandro Negrini
La Festa della Repubblica è antifascista, antirazzista, è contro la guerra, è la voce di chi difende, come chi votò nel '46, la dignità anche di chi non è visibile, dentro l'uguaglianza e non ai piedi di un re o di una regina. Essere cittadini, non più sudditi. Ma di nessuno? In che misura si monitora il valore, la salute e lo stato di una repubblica e la sua vicinanza ai suoi valori fondativi? La Festa della Repubblica non esisterebbe né mai sarebbe esistita senza un 25 aprile e la sconfitta del nazi-fascismo. Senza una Costituzione che è tra le costituzioni più antifasciste d'Europa. Cittadini di una Repubblica, che non sarebbe mai nata senza il 25 aprile, e tuttavia, in questa Repubblica, abbiamo oggi alla guida del governo un partito di matrice fascista. Esponenti di questo Governo che non esitano a non volersi dichiarare antifascisti, in primis la Presidente del Consiglio. Che piccona semanticamente - perchè le parole creano un clima - le fondamenta di questa repubblica, parlando di etnia, di sostituzione etnica, di punizione, di riscoperta dell'identità di sangue e non di cultura, umanità. Cittadini. E tuttavia quella grandissima conquista di quel lontano 2 giugno, il voto a uomini e donne - sembra oggi essere diventata una manifestazione vuota: metà degli italiani aventi diritto non votano più. Un terzo dell'altra metà vota un partito che vorrebbe restringere sempre più le maglie democratiche verso un governo senza controlli e senza elettori. Solo pochi giorni fa, la Corte dei Conti ha fatto quello che deve fare secondo la sua funzione: controllare come il Governo stia spendendo i soldi, inclusi quelli del PNRR. E in quel controllo sono emersi ritardi allucinanti: dei soldi della prima tranche del PNNR destinati alla Sanità è stato speso solo l1%. Ripeto, l'1%. Come ha reagito il governo di destra estrema di fronte a queste circostanziate critiche? Ha fatto approvare un emendamento bavaglio che limita i poteri della Corte dei Conti, che da oggi non potrà più monitorare come verranno spesi i fondi del Pnrr. Al contempo, questo stesso Governo si muove passo dopo passo per imbavagliare uno dei poteri indipendenti dal Governo: la magistratura, limitando uno degli strumenti più potente per combattere le mafie e la corruzione: le intercettazioni. Siamo cittadini, e tuttavia, nonostante la stragrande maggioranza sia contraria all'invio di armi in Ucraina, il governo - e tre partiti dell'opposizione - PD, Azione e Italia Viva, hanno votato una delega in bianco per mandare altre armi per almeno altri 12 mesi. E solo ieri, la delegazione dei parlamentari italiani in Parlamento Europeo - con l'eccezione del M5Stelle, Sinista e Verdi e un solo deputato del PD, ha votato delittuosamente per poter destinare fondi del Pnnr - destinati ad asili, ospedali, conversione ecologica, messa in sicurezza del territorio - per la produzione di altre armi. Uno spostamento di fondi che non è previsto nemmeno dai Trattati europei, fatto in nome dei cittadini e contro i cittadini. Quei cittadini, che hanno votato a dei referendum contro il nucleare vincendolo, e che ascoltano ora i partiti di destra più la finta opposizione di Calenda e Renzi fare propaganda per il ritorno al nucleare, sempre i nome di quei cittadini. Cittadini che non votano piu. E cittadini che votano un partito che aveva promesso di fare determinate battaglie, e una volta al potere battaglia contro di loro togliendogli diritti, tutele, protezione. Partiti che dovevano combattere la Mafia e candidano dei condannati per associazione esterna. Partiti che parlavano di finanza e alla finanza si sono inchinati. Partiti che parlavano di povertà mentre già pensavano, una volta eletti, a come rendere più ricchi i ricchi. La stessa parola "Patria", viene tradita da una permanente sudditanza verso gli Stati Uniti d'America, ancor più gravemente da chi la parola Patria la usa come segno d'identità, vedasi Fratelli d'Italia. Quanto questo lento, corrosivo, incessante indebolimento della democrazia finisce con l'assomigliare ad un suo rinnovato opposto? È notte in questa Repubblica, dove chi vota osserva incurante l'operato in direzione opposta alle promesse fatte dei propri referenti politici, e chi non vota più prosegue la sua lotta solo, senza uno scudo identitario e, forse, senza patria. Forse oggi è solo il giorno in cui ricordarci che dobbiamo riaccendere la luce in questa notte della Repubblica, a partire dal nostro sguardo: cittadini, non sudditi, né dei Savoia, né di Confindustria, né di qualsivoglia fascio-liberismo che, alla camicia nera, ha aggiunto la cravatta o la giacca rosa. È certo, e lo è per la sequenza dei fatti nella Storia: per poter arrivare ad entrare negli alti luoghi del Potere politici ed economici - in questo sistema neoliberale-postfascista - una donna può solo essere una donna abitata da una visione maschile, prevaricatrice e a difesa dello status quo:
dalla manager che licenzia e delocalizza per arrivare alla Thatcher e le successive premier inglesi, alla presidente antiabortista del Parlamento Europeo Roberta Metsola, per passare alla premier progressista finlandese Malin, che fa costruire un muro con filo spinato per impedire l'arrivo di cittadini russi in fuga dalla Russia, senza dimenticare una delle donne icone del femminismo liberal, la guerrafondaia Hilary Clinton: donne prone alla difesa dei cardini che reggono l’esistente, violente nell'impedire qualsivoglia dubbio che possa porsi nel loro essere posizionate nel pieno centro del volere neoliberale, quello sempre a tutela dei forti, sempre diseguale verso gli ultimi, sempre entusiaste di questa società plasmata da maschi, bianchi, privilegiati. E se si è anche un po' fascisti non importa, sarà sufficiente rassicurare i Mercati. Che non venga il dubbio a chi loro consente di arrivare nelle stanze del potere, che queste poche donne non siano - come invece sono - identiche a tutti gli uomini che hanno gestito il potere prima di loro, se non peggio, perché tutto il loro fare ed il loro dire si riassume così: “Uomini potenti, Mercati, state tranquilli: se sono arrivata sino a qui è perché sarò fiera servitrice dei modelli che avete sempre voluto, creato, protratto: sarò un maschio di destra neoliberale. Non più i corpi, ma i volti delle donne usati dagli uomini come cavallo di Troia per veicolare, talvolta in misura più feroce, sempre le stesse ricette: proteggiamo i forti, attacchiamo i deboli, convincendoli in nome di una emergenza che siamo dalla loro parte e – tutti sulla stessa nave. Peccato che mai nessuna di queste donne, proprio come i loro predecessori uomini, mai si preoccupino di dire che su questa nave c’è chi viaggia in prima classe, chi in seconda, chi in terza, chi in quarta, e che le scialuppe di salvataggio sono state pensate solo per la prima. Tutto questo vale a destra, e vale nella presunta “sinistra”, nella quale si consente alle donne di toccare il potere solo se incarnano gli stessi valori della destra, guerre, bellicismo, disuguaglianza - abbracciando però – stando nel pieno centro del proprio privilegio liberale e nella piccola circoscritta parte di mondo dei protetti, alcuni temi sui diritti civili. Ed è anche per colpa di questa “sinistra”, che le donne al potere oggi, tutte, sono uomini più feroci degli uomini. E che ora sui TG, sui giornali nei talk, si dia il via al ballo in maschera con la canzone che suona allegra, felice e mascherante: finalmente una donna al potere. Alessandro Negrini "Negrini, quando e se cascherà un divano dal cielo, allora potrà dire che lo scopo dell'uomo è oziare e godersi la vita".
Prof.sa di Tecnica Commerciale, Scuola secondaria Rosa Luxemburg, Torino, tanti anni fa, in risposta all'alunno Negrini. Foto: decenni dopo, la risposta. #rispostedeltempo Diceva Eduardo Galeano che il linguaggio è il più grande strumento di scippo della Storia. Le parole, nate per definire le cose, per dare loro volto, divengono velo per occultarle, sbiadirle dentro un revisionismo graduale ma incessante. È la grande macchina dell'oblio obbligatorio, che non necessita nemmeno più di censura, ma di abili operazioni di neutralizzazione dei significati e delle responsabilità. Ma la Storia, non è mai neutrale.
Il 14 giugno del 2011 il Parlamento italiano ha approvato la legge n. 101 che istituisce la Giornata nazionale in "Memoria delle vittime dei disastri ambientali e industriali causati dall'incuria dell'uomo". Da allora questa Giornata ricorre il 9 ottobre di ogni anno, giorno dell'anniversario del disastro del Vajont. Ho passato tanto tempo in questi anni a frequentare e ad ascoltare gli ertani. La loro fatica anche solo a parlare di quella ferita mai chiusa, sempre in faccia a loro, con quella lama bianca, quel pezzo di Monte Toc mancante davanti ad ogni finestra che si apre. Il perenne silenzio sulla seconda storia del Vajont, quella mai narrata, quella che voleva fare sparire Erto dalle mappe per sempre dopo il disastro, con parte degli ertani a ritornare abusivamente nelle loro case e a resistere contro quella sentenza degna di una favola al contrario: Erto cancellata dalle mappe. Da undici anni, "Incuria": come se si fosse trattato di una mal manutenzione della diga. E non di una regia precisa e consapevole, di un disastro compiuto dalle mani non dell'Uomo, espressione generica, ma dell'Uomo al cieco servizio del profitto. Il risultato di un pianificato percorso di arricchimento spietato, crudele, disumano anche al costo del rischio della morte di migliaia di persone. La favola, tanto cara a Draghi ed oggi a chi gioca al gioco della guerra, del rischio calcolato. E che importa se quel calcolo non verte solo su equazioni ma su vite umane. Undici anni dopo, quella formula usata nella legge e quella parola 'incuria", votata da tutti i partiti, contestata da nessuno se non da coloro che non l'"incuria", ma la pianificazione del profitto anche a costo della morte l'hanno conosciuta spalanca il bisogno di difendere, sempre, la Storia dai tentativi di rimontaggio e ri-scrizione. La diga resse. Quasi duemila persone persero la vita. I famigliari, per anni, per poter testimoniare o anche solo assistere al processo dovettero recarsi a L'Aquila. Perché è anche stancando la rabbia delle vittime che il potere protrae l'ingiustizia. La sentenza definitiva della Cassazione arrivò 14 giorni prima della prescrizione, il 25 marzo 1971. Furono condannati i pesci piccoli. Cinque anni a Alberico Biadene (dipendente Enel-Sade) e tre anni e otto mesi a Francesco Sensidoni (dipendente del ministero dei Lavori Pubblici) ritenuti responsabili del reato di inondazione - frana compresa - e omicidi. Sia Biadene che Sensidoni godranno di un condono di tre anni. Enel e Montedison (ex Sade) vengono estromesse dal giudizio penale in sede d'appello: la valutazione delle loro responsabilità viene rimessa al giudizio civile, che le condannerà in solido al risarcimento dei danni. E allora, nel grande quotidiano spettacolo dell'avvelenamento semantico, dove la parola "Potere" sempre più si identifica con "Impunità", in questo paradigma italiano che sembra eterno - il Vajont non è pluriomicidio premeditato, non un crimine contro l'umanità. Ma disastro causato dall' "incuria". Sì, incuria. Ma del rispetto della Storia. E tuttavia la memoria, inscalfibile, è sovversiva, perchè scavalca la diga più pericolosa, quella delle parole nate per neutralizzare le responsabilità. Un abbraccio, lungo e perenne, a coloro di cui conosco i volti, ed il loro indomabile esigere dignità per la loro storia, volontà che mai sarà domata. Mai. Alessandro Negrini INCURIA [in-cù-ria] s.f. (pl. -rie) Mancanza di cura, di diligenza; trascuratezza: i. nel fare un lavoro || Sciatteria: i. nel vestire Le imminenti elezioni politiche mostrano da parte degli attori in campo un quasi totale disinteresse di un dato che invece dovrebbe rappresentare la linea di partenza di qualsivoglia proposta politica: quasi la metà, o forse più, degli italiani non votano più. Una politica che prende cinicamente come dato di fatto, e forse di favore, il fatto che a votare vada solo quella parte di paese che è già quella più garantita, più protetta – “i salvati”, per citare Primo Levi. Ma esiste il 50% che non vota: i disperati, gli “scartati” come li definisce Papa Francesco. E i disillusi. Chi vi scrive fa parte di questo pezzo di società: deluso, tradito dall’uno o dall’altro e che, attraversato da un disorientamento prossimo al disincanto, da un tale senso di tradimento ed un senso di esclusione così forte che ha portato tanti, troppi a pensare che il diritto al voto sia divenuto un rituale superfluo, una porta girevole che porta sempre allo stesso ingresso e, ormai da decenni, all’avvicendarsi di governi tutti sempre in linea con i paradigmi che hanno prodotto lo status quo: disuguaglianza sociale, distruzione dell’ambiente e costanti violazioni della nostra Carta Costituzionale. Oggi siamo di fronte ad un pericolo mai presentatosi prima nella storia repubblicana: la vittoria di una destra reazionaria, una vittoria così schiacciante da poterle consentire di apporre modifiche ad un qualunque articolo della Costituzione - senza nemmeno più la necessità di un referendum. Ma ancora più annichilente per chi appartiene all’astensionismo crescente è, di fronte a tale pericolo, vedere le forze che si dichiarano antitetiche a queste destre reazionarie, da un lato, intente a mettere in atto un’operazione suicida – il PD - tagliando ogni ponte con i 5 stelle ed intenti a raccogliere tutta la destra neoliberale, con i suoi tratti ideologici economici reazionari e che propongono, ancora e sempre, le stesse ricette identiche – talvolta gli stessi nomi, che hanno prodotto sia il totale asservimento delle ragioni della politica alle ragioni del sistema economico e finanziario, sia l’attuale crescita di consenso della destra reazionaria. Dall’altro, partiti che, seppur saldi nelle loro posizioni ed ideali, incuranti del pericolo di cui sopra si intestardiscono nel porre veti all’uno o all’altro, anziché trovare quel terreno comune tra tutte, sottolineiamo tutte, le forze che vogliono nei loro intenti rappresentare veramente le fasce più deboli della nostra società e - nei fatti e non nelle parole - difendere ed attuare davvero la nostra Costituzione. Noi crediamo che questo terreno comune esista. Tanti in questi anni, ed in gradi diversi, sono stati troppo acquiescenti nel far indebolire prima ed ammalare poi gli antidoti alla destra post fascista. E crediamo che, oggi più che mai, ridare voce a questo pezzo di società invisibile sia talmente urgente ed ineludibile da rendere necessaria questa nostra richiesta dal basso, a tutti voi, affinché quel terreno comune venga da voi cercato e trovato. Un terreno il cui ideale, proprio dentro quella parte di società che non vota più è, seppur atomizzato e tradito – vivo: l’attuazione di una uguaglianza sostanziale. Il terreno della giustizia sociale, della lotta alla precarietà, del pacifismo, di un antifascismo, che non sia mera celebrazione e “vano reducismo”. Perché, come Pertini disse nel 1970, la libertà senza giustizia sociale non è libertà. Il terreno comune dell’articolo 3 della Costituzione – lo sviluppo della persona umana mai come mezzo ma solo come fine – ovvero il valore della vita umana, il rispetto della persona – con diritti inalienabili – sul luogo di lavoro, a scuola, in un ospedale, per strada. Dal basso, da cittadini che rappresentano, chi in un modo chi in un altro, il vostro potenziale elettorato, crediamo che la chiave per decostruire questo tracciato iniziato ormai da due decenni, stia nell’unire – attraverso una alleanza le forze che attivamente credono nei valori sui quali si basa la nostra Costituzione. Un’alleanza che, finalmente, sappia parlare a quell’enorme pezzo d’Italia che non vota più o che, per mancanza di rappresentanza, si trova in disperata ricerca di una voce, persino a destra. Anche all’interno del PD e di LeU vi sono esponenti che vorrebbero un cambio di rotta rispetto a un ulteriore spostamento a destra dei loro partiti. Al PD e a Leu, alleatesi con Calenda e con quel centro da sempre megafono di ricette neoliberiste - chiediamo: non è il momento, ora, di affrontare la giustificata disaffezione che ha allontanato una parte importante del vostro elettorato? Ai 5 stelle, a Rifondazione, a Sinistra Italiana e ai Verdi, all’alleanza di De Magistris, a Potere al Popolo e Rifondazione, a tutti gli intellettuali che con coraggio sono stati in questi anni fuori dal coro, chiediamo – non è ora di limare le diversità e trovare una alleanza anche con le proprie relative differenze, su di un terreno che sia comune a tutti? Il terreno del pacifismo, della difesa della Costituzione, della giustizia sociale, della lotta alle mafie. Chiediamo a voi di dare ascolto a questo pezzo di società fatta di lavoratori, disoccupati, precari, docenti e ricercatori, artisti, animatori e animatrici di associazioni che vogliono faticosamente riprendere la parola a discapito di decenni di voti utili finiti con la soppressione delle speranze di cambiamento e alla parcellizzazione delle forze alternative, sempre disposte ad accusarsi tra loro e non a cercare – il terreno comune. Un proverbio del Burkina Faso dice: “Se le formiche si mettono d'accordo, possono spostare un elefante” Di fronte a questo “elefante” politico, che sembra lentamente procedere ineludibilmente verso il solito esito, chiediamo di provare, almeno, se non a spostarlo, a fermarlo: Siamo qui a rivolgerci direttamente a tutti voi perché temiamo che, proprio perché divisi e talvolta prigionieri dentro il proprio perimetro autoreferenziale, pochi dei partiti a sinistra voglia veramente parlare all’altra metà del paese: noi. Esiste un terreno che ci unisce. Vi chiediamo d’essere, finalmente, uniti al servizio di questo terreno - fatto da tutti noi: i cittadini che vogliono essere di nuovo partecipanti e non passivi e domati da questo maledetto, provocato disincanto. Cittadini che possano credere che esista un orizzonte che non solo può, ma deve unire: la persona umana come misura di tutte le cose. Formiche che spostano l’elefante. Alessandro Negrini Per chi vuole aderire può lasciare nome, professione e email sotto. Se esistesse come reato, il PD verrebbe condannato in tutti i gradi di giudizio: occupazione abusiva di territorio politico, il territorio della sinistra. Il PD, Partito Democratico fondato dal già distruttore de "L'Unità" Walter Veltroni, di sinistra non solo non ha più neanche l'ombra, ma nella sua storia si è distinto per il suo volere e sapere replicare lo spettro della politica americana: due schieramenti, apparentemente diversi tra loro, uno dichiaratamente di destra, l'altro altrettanto di destra, ma più presentabile, magari capace di concedere con una mano qualche diritto civile mentre con l'altra toglie diritti universali. Dalla sua nascita il PD è riuscito là dove Berlusconi aveva fallito, ottenendo obiettivi che nemmeno la destra si sognava di poter ottenere e che ha ottenuto grazie al presunto avversario: l'abolizione dell'art 18, le precarizzazioni del Jobs Act, il dimenticarsi di salari fermi da trent'anni perchè terrorizzato dal pensiero d'essere sgridato da Confindustria piuttosto che dai lavoratori, la messa in atto della visione iper-aziendalista della scuola, dove gli studenti e l'istruzione sono "menù a la carte" per le aziende che possono ordinare, e influenzare, il tipo di manodopera a basso costo che a loro servirà. Per non parlare dell'equiparazione tra comunismo e nazismo, il sostegno a tutte le guerre che piacciono agli Stati Uniti, ma sempre muti e allineati a testa china sulle occupazioni di Israele nei confronti dei territori palestinesi. Ma soprattutto il PD rappresenta oggi la difesa di una visione elitaria di una politica che sotto sotto disprezza i deboli di cui si è dimenticata in una perfetta rappresentazione della politica che difende solo più se stessa. Totalmente disinteressata a quella metà della popolazione che non vota più. E' proprio Enrico Letta a dire, dopo aver vinto le suppletive a Siena con il 70% di astensione, che la vittoria è stata "straordinaria", forse non potendo dire che l'astensione è grande alleata del PD: perchè se i dimenticati tornassero a votare un partito che li rappresenta, il suo partito sparirebbe dalle percentuali a due cifre. È Il PD che, compatto, ha votato al Senato a difesa di Renzi, con una indegna e grottesca argomentazione contro i magistrati che vanno attaccati soltanto quando alcuni di loro arrivano a scoprire il malaffare della politica e dei colletti bianchi che la finanziano (come pare evidente dai documenti dell'inchiesta Open su Italia Viva). Sembra facile oggi scandalizzarsi di Matteo Renzi, che tuttavia venne osannato e votato in massa alle primarie del PD. Oggi, Enrico Letta è la versione altrettanto feroce di quel renzismo, solo, con la faccia meno arrogante. Se fosse un farmaco, sarebbe il generico di Renzi: sembra costare meno in termini di ideali traditi, per poi scoprire che la sua direzione, quegli stessi ideali - fondanti ed ineludibili di qualunque Sinistra, li calpesta, li ignora, li capovolge. E quali sono questi principi: Ne scegliamo due, i più importanti. Uno: il principio della lotta alle disuguaglianze sociali: basterebbe elencare tutte le decisioni prese dal Governo Draghi, appoggiate con entusiasmo proprio dal PD di Letta, dal Decreto Concorrenza (che pianifica surrettiziamente la privatizzazione di tutto) alla riduzione dei fondi per la Sanità dal 2024, sino alla riduzione dei fondi per la scuola - il tutto accompagnato dal sostegno, sempre entusiasta, per l'aumento delle spese militari di 13 miliardi di euro. Enrico Letta lo ha detto durante le elezioni della presidenza della Repubblica, senza alcun pudore: il suo compito è proteggere Draghi. Non la Costituzione. Non i suoi elettori. Non i lavoratori. Ma Draghi, l'uomo della più feroce destra neoliberista e tra i più sopravvalutati (dalla stampa) primi ministri della Repubblica italiana. Ma esiste un secondo principio fondante di qualunque Sinistra degna di questo nome: il ripudio della guerra. Il PD ha tradito anche questo. In piena suggestione bellicista, senza nemmeno avere il coraggio - in primis Draghi, di dirlo chiaramente: siamo in guerra ed abbiamo deciso di abbandonare qualunque ruolo negoziatore, perché se si decide di armare una delle parti si è - di fatto - co-belligeranti. E allora, dentro questo clima innamorato dei banchieri e della guerra, chiedo ad Enrico Letta e ai suoi elettori che ne condividono i passi, di retrocedere, perlomeno, dal terreno semantico che hanno invaso: il PD è di fatto, oggi drammaticamente più di prima, tristemente, un partito di destra. Che lo dicano, con ritrovata onestà intellettuale: i Democratici per le privatizzazioni, i Democratici per la scuola asservita alle aziende, i Democratici avvocati difensori di Renzi, i Democratici muti sui salari da fame, muti sulla Palestina, sulla Siria e oggi infine, i Democratici per la guerra - sono Destra. La più infima, travestita, senza pudore alcuno, Destra. E allora, pragmaticamente, l'unica possibilità che abbiamo per la difesa di questi principi è che il bacino di voti di questo partito, indebitamente occupante un territorio non più suo, si prosciughi definitivamente. Lo dico senza alcun intento provocatorio, ma con lo sgomento nel cuore: l’avversario politico per chi è abitato da principi di uguaglianza, di giustizia sociale e di ripudio della guerra – è anche e sopratutto il PD, il Partito Democratico Italiano. Mai più voti a chi brama la guerra. Mai più voti a chi, da sinistra, brama e riesce ad essere destra. Alessandro Negrini di Alessandro Negrini
Racconta lo scrittore Juan Gelman che una volta su di un bus sentì una conversazione tra due operai che tornavano esausti dal lavoro. Erano muti di stanchezza. Uno di loro, ad un certo punto alzò la testa e disse al suo compagno una cosa, piccola, semplice, feroce: “Sai cosa mi piega più di tutto? Che ci spacchiamo la schiena, e rimaniamo poveri”. A piegare la schiena di quei due operai era la mancanza di speranza. Speranza a sua volta piegata, lentamente e per decenni, dalle Elites ed i loro rappresentanti politici, giornalisti, intellettuali, banchieri per i quali l’idea di lavoro come diritto collettivo alla dignità andava mutata in quella di merito e di resilienza individuale: la retorica ultraliberale, che veicola la sua brama di profitto per pochi attraverso due concetti che aborro: il criterio del merito ed il criterio della resilienza. Se non lavori, è perché non sei in grado di sfruttare le occasioni che questo meraviglioso sistema ti sta dando. Ma la risposta a questa retorica è sulle labbra di quei due operai sul bus. Perché cosa c’è tra le cose più intollerabili di una civiltà degna di questo nome dell’avere milioni di persone che rimangono povere – lavorando - e spesso, troppo spesso, su quel luogo di lavoro ci muoiono? Mattarella, nel suo discorso di (re)insediamento, tra le tante cose che hanno entusiasmato i più, ha detto: “Mai più morti sul lavoro”. Bellissima dichiarazione, forte, chiara. Peccato che le sue siano - parole al vento. Il Governo Draghi, che Mattarella un anno fa ha imposto dando una spallata ricattatoria al parlamento, proprio per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro ha abolito i controlli a sorpresa alle imprese. Questo abominio, legittimato da tutti i partiti che sostengono il governo, dalla Lega al PD , i 5 Stelle ed ovviamente Italia Viva e Forza Italia, è presente nell'apposita delega contenuta nel “DDL Concorrenza”: "prima di ogni controllo dovrà esserci una telefonata per programmare il controllo, specificarne la natura, individuarne i contenuti e i documenti necessari, i giorni in cui arriverà". Tradotto: eliminando l’effetto sorpresa, tutte le imprese che violano le norme non verranno mai prese sul fatto. Ovviamente, per legittimare questo invito indiretto a provocare più morti sul lavoro, il governo Draghi utilizza un linguaggio positivo: “D'ora in poi la parola d'ordine sarà "rispetto reciproco, civiltà, gentilezza e cortesia”. "Non ci saranno divise o mitragliette in vista". Non più tutela dei lavoratori e del loro diritto a non rischiare la propria vita, ma “gentilezza reciproca”. Traduzione: io proseguo ad ignorare le norme, tu Stato sii gentile e avvisami prima di venire a controllarmi, così evitiamo di farci scoprire ed iniziare inutili procedure giudiziarie. Poco importa se uno dei costi per difendere non le persone ma il PIL sono due, tremila morti l’anno. Se si osserva il rapporto tra ispettori e ispezioni alle imprese, già ora, un’impresa ha statisticamente la possibilità di subire un controllo sulla sicurezza una volta ogni undici anni. Tra questi controlli, oltre il 90% delle imprese edili sono risultate irregolari e non applicano le normative sulla sicurezza sul lavoro. E come risponde il governo di fronte a tutto questo? Silenzio. E senza pudore, lo ha detto chiaramente l’osannato banchiere Draghi - davanti agli occhi incantati di quasi tutti i politici e giornalisti: “Io proteggo il PIL”. I diritti, gli anziani, le persone, i lavoratori - se d’intralcio, dovremo chiudere un occhio anche sulle loro morti, liquidate con qualche parola di circostanza. E’ l’unica ideologia, proprio di coloro che ci ripetono che non bisogna ideologizzare, ma essere concreti: l’idolatria del Santo PIL. C’è una stretta relazione tra precarietà, salari da fame e incidenti nei posti di lavoro. Paghe orarie che fiancheggiano quelle del caporalato, da 4 euro l’ora, 5 euro l’ora, 7 euro l’ora si accompagnano ad appalti sempre al ribasso da un lato (dove per poter essere “concorrenti”, ad essere tagliati sono proprio i costi sulla sicurezza) e milioni di persone costrette o a doppi lavori, o sbattute sul luogo di lavoro senza aver potuto imparare come si usa un muletto, una stampatrice, un macchinario tessile. Le stime, tenendosi bassi, sono tra i 1200 e i 2000 morti l’anno. Se queste morti erano evitabili, e lo erano, allora di omicidi colposi trattasi. Come difenderci da questa, vera (non fantomatica come quella sanitaria) dittatura di questa visione che si riassume nel “Proteggiamo il PIL”? Rileggendo la nostra Carta Costituzionale, partendo da questo: Art. 36. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Qualunque contratto che propone 4, 5, 6, 7 euro l’ora viola palesemente l’articolo 36. L'Italia è l'unico paese dove in dieci anni i salari sono calati, -2,9%, persino la Grecia ha visto crescere i propri salari. Lo sa bene l’avvocato Fausto Raffone: nelle sue cause contro lo sfruttamento sul lavoro, si appella proprio all’articolo 36: quei contratti sono anticostituzionali, Ha vinto quasi tutte le cause. Sono contratti presenti nel registro del CNEL (in totale sono più di 900) ideati dai partiti di destra e sinistra (?) che non hanno fatto nulla per limitarne la proliferazione. Nessun governo italiano l’ha proposta. Mai: la battaglia che va fatta è lottare per la legge che garantisca un salario minimo per tutti. Tutti. Iniziamo a vedere, da qui, quanto sono al vento le dichiarazioni ufficiali di lotta alla povertà. E quando diranno, perché lo diranno – i padroni e i loro megafoni (i banchieri al governo, i giornalisti, i politici - che mai hanno provato in tutta la loro vita salari da fame) che occorre essere concreti, che occorre il principio del merito, che occorre essere resilienti, rispondiamo così: “Articolo 36 della Costituzione Italiana: Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa." Lo conobbi nel quartiere Lingotto a Torino, credo a inizi anni ‘90. Stava su di un camion pieno di elenchi telefonici da distribuire. Mia madre, Licia, lo vide e andò da lui: “Ha bisogno di un ragazzo? Mio figlio ha bisogno di lavorare”. Io cercavo lavoro per potermi pagare le rate dell’università.
E così dal giorno dopo mi ritrovai a far parte di questa squadra scapestrata di “addetti alla distribuzione”: quasi tutti con la fedina penale sporca, alcuni per rapina, altri per spaccio, altri buttati fuori di casa ed in cerca di soldi immediati - e uno studente squattrinato, io. Pino non ti chiedeva nulla, ti guardava negli occhi e se avevi bisogno di lavorare, ti prendeva. Le consegne venivano fatte con grandi carrelli della spesa presi chissà dove. Si guadagnava bene con le mance. All’epoca gli smartphone e Google erano ancora lontani, così come ancora a venire erano gli anni in cui gli oggetti sarebbero diventati padroni dei padroni degli oggetti. L’arrivo nelle case dell’elenco telefonico e delle pagine gialle era una sorta di festa nei quartieri attesa da tempo: la guida telefonica era lo strumento prezioso e irrinunciabile da tenere vicino al telefono di casa. Tutti erano felici del nostro arrivo: dai quartieri popolari, dove al nostro arrivo si sentiva qualcuno urlare -”Sono arrivate le Guide!”, ai quartieri residenziali, altrettanto felici di avere il prezioso librone zeppo di nomi e numeri. Tutti ci davano dalle 1000 lire in su, i condomini benestanti della collina o gli studi di professionisti anche 10, 20 mila lire di mancia a consegna. Fu uno dei lavori più divertenti che abbia fatto, una fabbrica di aneddoti e accadimenti surreali. Pino mi chiamava anche per altri lavori: d’estate, si andava a vendere magliette ai concerti fuori dallo stadio. Così finivamo a Monza al concerto di Michael Jackson, o a Torino al concerto dei Gun’s Roses, sempre con un senso di allegria, come fosse una scusa per condividere tempo, aneddoti, vino. Ricordo la musica fuori dallo Stadio, e rammento che nell’ebbrezza del vino, per un attimo sperai che lo stesso Michael Jackson venisse a comprarsi la maglietta col suo volto. Io e Pino diventammo amici, e frequentandoci anche al di là del lavoro, ci raccontavamo le nostre vite. Con un passato da impenitente contrabbandiere di sigarette tra l'Italia, la Svizzera e la Francia, Pino rimase in galera il tempo necessario per diventare comunista. Uscito, fece una promessa a se stesso: "non ci rientro più". Mantenne quella promessa per sempre. Gli feci una domanda che più cretina non si può: “ Ci si sta male, dentro?”. Pino, col suo sguardo che mai si abbassava, sorrise e mi disse: “Si mangia male”. Una sera in un bar, con la voce roca di chi le sigarette le aveva contrabbandate ma anche fumate, mi disse - "Alessà, a te non t’acchiappa nessuno". Non ho mai capito bene a cosa si riferisse. Ma pensai che fossimo, in modo diverso e tuttavia simile, entrambi evasi. Da quel carcere invisibile dove si è prigionieri della propria sopravvivenza, del proprio egoismo, del proprio ego: il carcere del cinico disincanto. Pino, forse senza saperlo, era già evaso da quella prigione silenziosa ed invisibile. Fuori, libero. Una volta andammo alla Festa Nazionale degli alpini ad Asti. Con noi, Sandro. Bevemmo vino sino a che a sfinirci furono non solo i bicchieri, ma le risate su cose senza senso. Al mattino, Sandro era scomparso. E allora tutti a cercare Sandro, dove sarà finito Sandro, per poi scoprire che si era addormentato sbronzo proprio sotto la panchina davanti alla caserma dei Carabinieri. Finalmente lo troviamo, mentre i carabinieri erano usciti a controllare chi fosse e come stesse. Arrivammo, con la voce roca di Pino a gridare: Sandro, ma che minchia hai combinato? Sandro, serafico e stranito: “Non lo so, sono confuso, mi sono addormentato che erano tutti alpini, mi sono svegliato e sono tutti carabinieri…” Era uno degli infiniti aneddoti delle nostre “avventure”, pregne della voglia di vita, e al contempo di una cosa che si praticava senza esserne consapevoli: la sensazione di essere parte di una famiglia senza limiti, fatta di tutte le persone che incrociamo, che ci chiedono aiuto, con le quali dividere l'aiutarsi, le risa, le avventure, il pane. Una volta, parlando con lui e Sandro, dissi loro che amavo la parola “compagno”, deriva da “cumpanis”, dissi, significa condividere il pane. Un altro amico del gruppo, ridendo, guardò Pino e disse: “Pino che sei un comunista?" Pino lo guardo per qualche secondo, e disse: “Minchia, certo, sono comunista. Se sei povero e non sei comunista sei cretino”. Passarono gli anni, iniziarono i miei lunghi anni di permanenza all’estero alla ricerca di un senso per la mia vita da evaso, prima a Parigi poi in sudamerica sino all’Irlanda. Lo reincontrai tanti anni dopo esserci persi. Lui era rimasto identico a come lo ricordavo: un personaggio letterario, con il volto da film americano, gli occhi che incutono rispetto e la sua solita voce bassa e roca. Vendeva origano e finocchietto con un carrettino siciliano nell’antico mercato del Balon a Torino. Mi sei stato amico, e senza saperlo padre adottivo, fraterno compagno di sbronze e complice, “compagno” di una vita sempre senza padroni e col pane da spezzare ed il vino da offrire. Ciao amico mio. Oggi verrò a darti l’ultimo saluto. Ti guarderò e nel silenzio ti dirò: "Pino, a te non t’hanno mai acchiappato". Si chiamava Pino Pietrafitta, aveva il cuore di un gigante, mai ha avuto padroni. Gli volevo bene. Che cos’è il potere? Il potere è impunità. E l’impunità è figlia della memoria riscritta o, peggio, dell’amnesia storica indotta.
Lo sanno bene tutte le famiglie delle vittime di stragi ed omicidi commessi con la complicità di pezzi dello Stato, che hanno subito indagini deviate, prove occultate e, spesso, la criminalizzazione delle stesse vittime, con la speranza che la polvere del tempo si accumulasse sopra le collusioni rendendole sempre più opache e lontane. E di fronte a questo infinito panorama d'ingiustizie di Stato, nella generale rassegnazione collettiva e nichilista che regna di fronte a questo lunghissimo ed interminabile elenco di impunità nelle quali ci si trova soli, dove occorre guardare? Dove cercare un filo di speranza? Personalmente, guardo a quei pezzetti di umanità abitate da un indomabile senso di giustizia e che sempre, per sempre, contro tutto, anche contro le istituzioni che avrebbero dovuto difenderli, hanno tenuto lo sguardo alzato. Tante persone singole, come Ilaria Cucchi, come le madri argentine, i parenti delle stragi neofasciste, o intere comunità, popoli. Come in Cile. Come in Palestina. E come in Irlanda del Nord. 50 anni fa accadde a due passi dall’Italia, in Irlanda del Nord, una strage per la quale mai nessuno ha pagato: Il Bloody Sunday. La mattina del 30 gennaio del 1972 nel quartiere del Bogside a Derry si muove una folla ordinata. È stata indetta una manifestazione dal NICRA (Northern Ireland Civil Rights Association) e studenti, lavoratori e anziani sono lì a rivendicare parità di diritti con gli anglicani fedeli alla corona inglese. Perché nell’Irlanda del Nord del 1972 per avere un lavoro o una casa, i diritti basilari, fa una bella differenza se sei cattolico o protestante. Per esempio, il suffragio era censitario: per avere il diritto di voto, si doveva essere proprietari di almeno una casa, o perlomeno pagare un affitto, ed avere un lavoro; i prezzi proibitivi degli immobili che portavano moltissimi giovani a vivere a lungo con i genitori e la disoccupazione, che in alcuni quartieri cattolici raggiungeva l’80 %, erano solo i principali sintomi dell’oppressione. Infine, nel sistema elettorale aveva un ruolo importantissimo il company vote, che conferiva un voto plurimo a chi fosse proprietario d’azienda: non è difficile capire da chi fosse egemonizzata la struttura economica in quel contesto, costituendo un perfetto caso di apartheid in Europa. In quella manifestazione per i diritti civili minimi e basilari in qualunque democrazia, 14 manifestanti furono uccisi dal reggimento inglese Paracadutisti che sparò contro la folla inerme. In tutta fretta fu avviata un'inchiesta che si concluse pochi giorni dopo, scagionando l'operato dei militari, sostenendo che i manifestanti uccisi erano armati e furono loro ad aprire il fuoco. Per 40 anni, la comunità di Derry, insieme ai famigliari delle vittime, ha proseguito la lotta per la verità, arrivando – grazie ad una infinità di prove trovate da loro e dai loro avvocati, ad ottenere l'apertura di una seconda inchiesta ufficiale. Derry è la città irlandese nella quale sono residente. Il giorno della sentenza della seconda inchiesta del Parlamento sul Bloody Sunday, nel 2010, ero anche io nella piazza del Guild Hall a Derry, insieme a tutta la cittadinanza, con i mega schermi a trasmettere l’esito della sentenza: Cameron, il Primo Ministro in quei giorni, inizia a parlare. La tensione nella piazza è altissima. Ricordo quel silenzio, quell'attesa pregna di caparbietà, e paura e coraggio e ostinazione. Io ero lì sia in veste di regista a riprendere, ma anche di cittadino a fianco di questa lotta, ed anche ora mentre scrivo ho un brivido a ripensare a quei momenti. Cameron inizia a parlare: chiedendo - Scusa: “Non si possono difendere le forze armate difendendo l’indifendibile”. Rammento l'applauso, fragoroso, lì in mezzo, con i familiari delle vittime che facevano il segno della vittoria. Dopo 40 anni di lotte, la verità sul Bloody Sunday viene riconosciuta: il primo colpo fu sparato da un militare inglese, e così i successivi. Nessuna delle vittime era armata ed Il governo britannico ha accettato la totale responsabilità dei fatti avvenuti a Derry in quel 30 gennaio del 1972. In totale contraddizione con la frettolosa inchiesta di 40 anni prima, tutte le vittime furono dichiarate "Vittime innocenti". Sono passati altri 12 anni da quel giorno, che fu sì una vittoria. Ma nessuno è stato condannato, nessun ufficiale, nemmeno l’unico militare identificato, «il soldato F.» che uccise cinque manifestanti nell’arco di 20 minuti. È la disuguaglianza di fronte alla legge che crea la nostra Storia e come diceva Eduardo Galeano “la storia ufficiale non la scrive la memoria, bensì l’oblio obbligatorio”. Un abbraccio, lungo e senza fine, alle famiglie e a questa cittadinanza che conosco così bene e che contro tutto, tutto, per 40 anni mai ha ceduto al lento meccanismo dell’ “oblio obbligatorio”. Questa lotta, inscalfibile ed indomabile, è da esempio per tutti noi, ovunque nel mondo: l’oblio non può essere il prezzo della pace. |
ALESSANDRO NEGRINI
Appunti, provocazioni, pinte e danze. Archives
June 2024
Alessandro Negrini
Regista per errore, poeta per caso, flaneur per scelta. |